Santa Lucia di Calenzano e i
lasciti alla SS. Annunziata di San Miniato

Il piccolo centro di Calenzano citato nel titolo non si trova in provincia di Prato, ma nel comune di San Miniato di Valdarno. Abitato oggi da poche famiglie, conserva una chiesa intitolata a Santa Lucia, presente già nel 1194, e dei ricordi manoscritti di un suo altare detto di Sant’Iacopo. Quest’ultimo appartenne agli Eremitani agostiniani leccetani, che dal 1522 vissero a San Miniato presso l’oratorio della SS. Annunziata presso porta Ridolfi.
Tra i documenti rimasti del convento una memoria riporta i lasciti ricevuti da pie persone, utile per conoscere anche la sua storia. Inizia proprio con:
“La cappella sotto il titolo di Sant’Iacopo in chiesa di Santa Lucia di Calenzano fu fondata da Iacopo di Cecco chiamato Mazzochio da Calenzano l’anno 1400 e lasciò che si facesse un altare nella chiesa di Santa Lucia di Calenzano a dì 28 luglio 1400”. Vi legò anche dei pezzi di terra per la dotazione – continua la memoria – “che in oggi o si sono persi o alienati: solo e ne sono rimasti sole staioro 80 in circa che nella sua fondazione erano assai di più”.
(Altri fogli menzionano terre della cappella poste nel comune di San Quintino e San Quintinello a Camagioli, a La Rotta, alla Casa Nuova e nello stesso Calenzano).
Continua la memoria su come la cappella pervenisse ai Padri tramite il “canonico Alessandro Antonio di ser Piero Gucci e ne furono investiti i religiosi dal vicario generale del proposto di San Miniato”, Donato dei Ficarelli, il I agosto 1523, per ordine e commissione “dei Magnifici ed Guelfi Signori Priori di Libertà e della Giustizia del Popolo Fiorentino che sembra che fossero allora i padroni ...”.
La cappella fu quindi allivellata a terzi dall’anno 1528; era tenuta dal canonico Filippo Bonaparte alla data della memoria.

Non solo la fondazione. I fratelli della “venerabile compagnia” della SS. Annunziata della città “detti i Disciplinanti, – si continua nella carta – oltre aver concesso ai nostri religiosi il loro oratorio e luogo per fabbricare il convento” –, donarono vari pezzi di terra posti a Poggio a Lupo con casa, a Castiglione ed in Peretola con obbligo di celebrare in perpetuo una messa cantata e cinque messe piane con l’ufficio dei morti per l’anima dei fratelli in almeno due giorni del mese di giugno.
Di più vollero che i Padri per la festa della SS. Annunziata invitassero a desinare il priore e sotto priore di detta compagnia “per fare carità con vitto frugale”.
Il manoscritto ricorda anche come il 6 febbraio 1523 Giovanni di Antonio di ser Pietro Gucci da San Miniato donasse al convento un pezzo di terra vignata fruttata e a canneti nella “Valle di Peretola”, con l’obbligo della celebrazione della festa della Natività e il giorno dopo di un ufficio, della messa cantata con le “messe ordinarie e assegnate nel convento” per l’anima del donatario e dei suoi parenti.
Tuttavia, al tempo della memoria appariva nei compiti liturgici della sacrestia il giorno della SS. Annunziata una messa cantata con cinque messe basse ed il giorno dopo l’ufficio con messa cantata e cinque messe piane per obbligo di Mattea di Cosimo Costarecci. Ma, “per quanto si sia fatta diligenza nell’archivio non si è trovato niente di autentico ove sia fondato un tale obbligo”. Si giudicava pertanto di “far ricerca a Firenze del testamento” che pare fosse stato rogato il I agosto 1550 da ser Pier Maria di Giovanni Gucci da San Miniato.
Nelle carte di sagrestia inoltre compariva anche l’obbligo per la festa dell’Assunta con “messa cantata e le messe di casa” ..., eccetera, per volontà di Giovanni Antonio Gucci di San Miniato ... ma neppure di quello c’era “niente di positivo nell’archivio, solo vi è un quinterno di fogli ove riferisce il testamento del suddetto signor Giovanni Gucci che lo fece il dì 31 luglio 1537 rogato ser Antonio da Portico”.
Le memorie proseguono con l’anno 1569 e con l’unione della cappella di Sant’Albino, “poco di qui distante”, al convento, voluta da Francesco di Simone Sanminiati gentiluomo fiorentino con l’obbligo per i frati di celebrare in essa una messa il mese, tre il giorno di San Francesco e una il primo marzo, festa proprio di Sant’Albino.
Il primo novembre 1671 invece Francesca Luparelli, lasciando suo erede universale Gregorio Cioni "nipote di sorella", stabilì l’obbligo di far celebrare per sé nella chiesa dei frati trenta (?) messe in perpetuo. Non soddisfacendo il legato ricadevano al convento “una casina con due pezzi di terra lavoratii e olivati” posti nel popolo di Santa Maria a Fibbiastri “nelle colline di San Miniato”.
Nel 1714 quando Margherita Cioni, erede di Francesca, non soddisfece per più anni l’obbligo, il convento entrò in possesso della terra che “ora” risultava affittata a Agostino Neri.
Nel 1680 – si prosegue nei ricordi – Maddalena Pecini dette al convento scudi 25 “per fondo di un legato per un obbligo di una messa il mese”; il fondo fu aumentato “per carità” da Orazio Guarguagli con altri scudi 5.
Nel 1697 invece Simone Caponi pagò al convento scudi 117 e lire 2 per la concessione “dell’altare e della sepoltura di San Simone e Giuda posta nella nostra chiesa”e per l’obbligo di 15 messe in perpetuo, cioè una messa il mese e tre messe il giorno della festa di San Simone con in più una messa cantata.
Il 12 gennaio 1696 – si prosegue – Lorenzo Doni lasciò cento scudi per celebrare in perpetuo dieci messe il 2 aprile, giorno di Santa Maria Egiziaca (sic, era il I aprile).
E il 20 settembre 1671 – si segna dopo molte cancellature, tornando indietro nel tempo – prete Orazio Guarguagli curato di Roffia chiese ai padri il giuspatronato della cappella di San Nicola “con esibirsi che avrebbe fatti la sepoltura con sopra la sua iscrizione vicino al suddetto altare”. Per questo lasciò scudi 50 per fabbricare l’altare in faccia a quello di San Niccola ed il convento accettò l’offerta”. Nel 1693 lo stesso legò per suo testamento la somma di 110 scudi con l’ obbligo perpetuo di tre messe il mese empre all’altare di San Nicola.
Segue nella memoria il ricordo della concessione a censo, cioè a prestito, del suddetto denaro, unito a quello del fu padre maestro Nardi e di altri, ad alcune persone della famiglia Canneri, a Cosimo Bonaparte e a Giovanni Battista Scala. La lunga descrizione segna anche le restituzioni e i passaggi di mano. Giunge al 1751 con le monache di San Paolo che vollero ridurre l’interesse dal 4% al 3% e al 1765 con i padri di Livorno che pagarono il 3%.
La carta ricorda poi al 20 ottobre 1709 Elisabetta Gallerini di Balconevisi la quale lasciò 60 scudi con obbligo di una messa al mese (dodici in tutto). Nel 1714 il denaro fu dato a censo al 5% al canonico Giuseppe Bonaparte.
Il 12 gennaio 1722 anche Sabatino del fu Giovanni Dani lasciò alla SS. Annunziata 200 scudi per la celebrazione in perpetuo di una messa la settimana all’altare di San Nicola e per la festa di Tutti i Santi.
Il legato fu accettato dai padri nel 1743 ma, non trovando censuari, gli stessi lo impiegarono nel 1746 per fabbricare una casa “ove presentemente abita Lorenzo Benvenuti vicino alla chiesa”; e spesero scudi 363 e lire 12 e soldi 8. Nel 1747 affittarono l’edificio a Michele Pistolesi per 14 scudi di pigione. Nel 1759 vi fecero fare dei “bonificamenti”.
Il 13 settembre 1730 infine – è l’ultimo ricordo della carta – Maria del fu Antonio Mazzei sborsò 200 scudi perché il convento le corrispondesse in vita dieci scudi annui e dopo la sua morte celebrasse 12 messe sempre all’anno. Il denaro fu dato a censo questa volta a Giovanni Battista Orsi il 28 marzo 1731.
Fu rimesso al convento nel 1740 da parte degli Scaramucci di Santa Croce i quali avevano comperato da Orsi alcuni pezzi di terra. Furono poi (ri)concessi al 4% ai Guerrazzi di Santa Croce e al Magistrato della Parte, il quale “presentemente ne paga il 3%”.

Paola Ircani Menichini, 15 luglio 2022.
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